Data journalism. Raccontare con i dati

Nota bene: Questo articolo è pubblicato anche nel magazine online Sardarch

Citando il The Guardian e il suo direttore Simon Rogers, può essere molto utile accostare l’idea del data journalism all’immagine della formazione di una punk band :

Non è così difficile, basta conoscere tre accordi e sei pronto suonare!

I tre “accordi” fondamentali che un giornalista deve imparare a suonare nel caso volesse intraprendere questa nuova declinazione del giornalismo sono:

  • La libertà di accesso ai dati

  • La possibilità di riuscire ad elaborare in maniera veloce ed efficiente questi dati

  • La facilità di comunicazione e diffusione delle informazioni

Per quanto riguarda il primo punto, la rete è ormai da considerarsi come la fonte primaria. Il web, come si sa, non è altro che un immenso archivio di dati dai quali possiamo attingere a costi estremamente bassi e in maniera relativamente comoda, bisogna ricordarsi però che questi dati sono di varia natura e che presentano diversi livelli di accessibilità e affidabilità.

Ci sono i dati pubblici che istituzioni e organizzazioni di vario genere rilasciano in open data cioè dati liberi, in formato aperto, scaricabili e utilizzabili per rielaborazioni e pubblicazioni in forme nuove, a disposizione di chiunque ne voglia fare uso.

Ma è possibile anche raccogliere i dati che si trovano imprigionati nei vari siti web, pulirli, trattarli e usarli come base per l’articolo. Questa operazione in gergo viene chiamata scraping e in genere necessita di buone conoscenze informatiche oltre che una grande attenzione nei confronti della fonte dalla quale si sta attingendo in modo da verificare la licenza  con la quale sono rilasciati i dati e analizzare la qualità delle informazioni raccolte.

I più smaliziati possono infine utilizzare come fonte i social network, i quali permettono di interfacciarsi ai loro archivi con delle librerie API (Application Programming Interface) e tramite esse estrarre delle informazioni, ovviamente nei limiti definiti dalla legge e dal social network stesso. Tali fonti di dati sono talmente ricche e sterminate da rientrare nella categoria big data.

 Per quanto riguarda il secondo e il terzo punto sull’elaborazione e la presentazione, ci sono tantissimi tool gratuiti, open source estremamente potenti e facili da utilizzare che permettono di sintetizzare le informazioni ottenute e renderle comprensibili, accattivanti e divulgative.

In queste slide ne presentiamo alcuni:

In fin dei conti il data journalism  non è altro che un particolare tipo di giornalismo d’inchiesta. Cambia ciò che viene usato come fonte: schietti dati informatici resi disponibili dalla digitalizzazione, incrociati tra loro utilizzando software che li mettono in relazione per descrivere fatti o fenomeni altrimenti poco visibili.

I giornalisti, usano i dati per raccontare storie, che siano storie di eccellenze, problematiche, oppure semplicemente per illustrare una situazione in maniera chiara, con trasparenza e immediata verificabilità.

Dati numerici consultabili e pubblici possono dunque sostituire (in parte) informatori e documenti esclusivi, restituendo al giornalista la salvaguardia della “verità sostanziale dei fatti” (che, ricordiamo, rientra tra gli obblighi della professione, come recita la sezione dedicata alle fonti della “Carta dei doveri del giornalista“).

Negli ultimi anni questo tipo di giornalismo ha assunto una certa rilevanza, soprattutto nei paesi anglosassoni in cui l’Open Government è una realtà di fatto. Testate come The Guardian (che non a caso citiamo spesso in questo articolo), ProPublica, Los Angeles Times, hanno ormai da tempo delle redazioni specializzate nel produrre articoli ed indagini basate sui dati e sui nuovi mezzi di comunicazione.

In Italia abbiamo l’esempio del Sole 24 Ore con il suo OpenDataBlog, e anche il quotidiano La Stampa comincia ad avviarsi nella strada del datajournalism.

La natura “punk” del data journalism sta anche nella sua fruizione: oltre a rendere intelligibili e visibili dati che rimarrebbero ostici alla maggior parte dei lettori se lasciati chiusi in griglie, matrici e tabelle, il data journalism lascia uno spazio e un ruolo molto attivo al lettore/cittadino, a vari livelli.

Per comprendere il valore aggiunto che esso ha acquisito grazie all’utilizzo della rete, delle nuove tecnologie e dei dati aperti (quando questi vengono rilasciati) ecco un confronto tra due articoli, uno d’inchiesta tradizionale, più antico, e uno data driven, più recente.

Troviamo sul datablog del “The Guardian” un articolo sull’affluenza scolastica di Manchester e Salford, datato 5 Maggio 1821.

  

Grazie all’indagine effettuata dal giornalista, non verificabile in altro modo se non probabilmente replicando la sua ricerca in tutte le scuole, è possibile sapere: quanti bambini frequentano la scuola pubblica, il loro genere, la quantità di fondi utilizzati per la loro educazione. Come corollario a questo è possibile probabilmente verificare la quantità di bambini poveri del tempo (perché solo i poveri frequentavano la scuola pubblica), la differenza di alfabetizzazione tra i generi e poco altro. Informazioni di una rilevanza indiscutibile, ma difficilmente reperibili e quindi verificabili da un semplice lettore o cittadino.

Sempre mantenendo come topic i dati sulla scuola, ecco invece “Your School“, un lavoro del “The Australian” online, candidato al Data Journalism Award 2012 : una ricerca di data journalism sull’affluenza e sulla qualità dell’insegnamento nelle scuole australiane.

Si tratta di uno strumento interattivo che permette agli utenti di confrontare le caratteristiche e la qualità di quasi 10.000 scuole di tutta l’Australia. Nel lavoro sono inclusi dati economici, frequenza e qualità d’insegnamento di tutte le scuole pubbliche e private, di ogni stato e territorio, divisi per categoria. E’ possibile verificare il numero dei frequentanti, il loro genere, il grado di preparazione degli alunni rispetto alla media nazionale in base a parametri prestabiliti dal sistema scolastico, la natura dei finanziamenti di ogni scuola. Fondamentale, il progetto ha dato a tutti una possibilità concreta e utilissima: confrontare facilmente i servizi e le caratteristiche di tutte le scuole australiana.

A partire dalla semplice interazione con i contenuti proposti, come nel progetto australiano di “Your School”, il lettore/fruitore può arrivare anche a contribuire attivamente all’arricchimento e alla raccolta dei contenuti.  Ecco il lavoro italiano “Scuole a rischio“, pubblicato sulla rivista Wired.

 

Dalla mappa interattiva è possibile verificare l’indice di sicurezza sismica di tutte le scuole d’Italia.  Quando i dati sono incompleti vuol dire che ci sono state difficoltà oggettive di reperimento dell’informazione: un vuoto comunque indicativo dell’attuale stato dell’arte della open governance delle istituzioni italiane. Scrivendo allo staff di “Scuole sicure” è possibile però per tutti inviare informazioni e dati sulla scuola più vicina o su quella frequentata dai propri figli. Questo tipo di interazione può essere utile ad incentivare una spinta civica che inciti le istituzioni a rilasciare al più presto quelli che sono i “nostri” dati.

Perciò, let’s punk.

 

Chiara Ciociola – Neural Magazine

Andrea Zedda – Sardinia Open Data

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